La Isla Bonita (Report di un viaggio fantastico in Sardegna)

Last Updated on 11-06-2018 by psg_admin

Tutto inizia quando un ottimo amico di vecchia data, Simone Bufalini, all’avvicinarsi del suo 50esimo compleanno mi propone di passarlo assieme pedalando. Simone – Responsabile CAI per la Sezione Escursionistica – non è un pedalatore vero e proprio, ma ha “la gamba” di chi ha camminato sui 4810 metri del Tetto d’Europa, fiato da vendere ed una carica umana unica. Il Compagno Ideale quindi!

La proposta iniziale prevedeva la Corsica, ma io rilancio immediatamente per la Sardegna. Le sono infatti legato in modo indissolubile, avendoci cresciuto i figli durante 12 indimenticabili estati, avendola percorsa in Vespa e Lambretta, surfata a più riprese, e avendone scalato il meraviglioso calcare perfetto, per molti il migliore d’Europa.

Faremo la SS 125 Orientale Sarda, gli dico: mi manca solo una minima parte e conoscendo a menadito tutto il resto gli garantisco che lo spettacolo non mancherà.

Un rapido invito a partecipare agli “Atleti” della PSG porta ad un gentile diniego: sono in fibrillazione per l’imminente Sellaronda Hero, c’è poi chi lavora e non può lasciare e poi diciamocelo: il turismo in bici è per le persone “anziane” che amano perdere tempo pedalando al rallentatore. Simone ne ha 50, io quasi 60… siamo perfetti. E la velocità – bassa – è garantita dai miei trascorsi (sarà anche per quello che non sono voluti venire con noi???).

Partenza e Tappa 1: Km 28 + 121, dsl 954 m

Iniziamo quindi con un trasferimento a Livorno per imbarcarci e sbarcare la mattina successiva, non prima però di aver fatto un bagno completo come pulcini (!). Lo prendiamo come un buon auspicio: le previsioni mettono tempo ottimo in Sardegna, e così sarà: non una singola goccia d’acqua, e temperatura ottimale (22°C) durante tre delle quattro tappe del viaggio.

Lo sbarco alle 5.30 a Golfo Aranci si preannuncia esattamente come me l’ero immaginato: sole che inizia a squarciare un cielo blu cobalto, mentre gli odori dell’Isola ci danno l’assalto. Chi c’è stato almeno una volta sa esattamente di cosa parlo: le onnipresenti piante di mirto, elicriso, euforbia, ficus benjamin, tamerici, pino ecc ecc, emanano un meraviglioso concerto di odori che quasi ti fanno finire fuori strada. Respiriamo a pieni polmoni sulla prima, lieve salita, che ci conduce fuori Golfo Aranci. La maglia della PSG è sufficiente, non è freddo e bastano pochi giri di pedale per scaldarsi.

Questa prima tappa mi permette di ripassare uno ad uno, tutti i luoghi cari di questa zona. Pittulongu e Murtamaria, paradisi windurfistici per il Maestrale e lo Scirocco, la Dantesca Tavolara che domina tutto con le sue scoscese pareti, San Teodoro e la Spiaggia della Pelosa, irriconoscibili in questo periodo dell’anno senza Bobo Vieri e gli altri loschi figuri del settore.

Una delle costanti dell’intero viaggio sarà proprio questa: viaggeremo assieme – e molto più spesso saremo superati sfrecciando – a gruppi di motociclisti Svizzeri, Tedeschi ed Austriaci. Ci sono anche gli Italiani, si: sardi sulle spiagge – finalmente semi-deserte e piene di piante grasse in fiore, ma che si spostano in bicicletta. Per lo più Pensionati che si godono la vita. La coppia che attaccherà bottone con Simone ha già quasi percorso l’intero periplo dell’isola (!) in senso antiorario. Noi invece torneremo presto a lavoro; anzi, Simone riceve telefonate in continuazione… È responsabile di diversi cantieri sparsi in tutta Italia e ci sono diversi guasti e problemi da risolvere. Decide di silenziare il cellulare. Gli orecchi ricevono finalmente solo il suono del vento che li accarezza e le voci degli animali padroni indiscussi dell’isola, e che sembrano essere dappertutto.

Dopo Budoni è la volta della simpatica Posada, arroccata su una piccola collinetta. Da lì alla Caletta di Siniscola il passo è davvero breve. Mi rendo conto che stiamo andando troppo veloce, e che saremo a destinazione troppo presto. Dobbiamo “perdere tempo” il più possibile, o saremo a destinazione entro breve. La soluzione è ovvia: in un attimo mi spoglio e mi fiondo come un sasso in un’ulteriore meraviglia sarda, l’acqua salata di un mare cristallino. In vita mia sono stato anche ai Caraibi e, francamente, questa acqua mi pare superiore. Se non altro è bella fresca e rigenerante.

Ripartiamo dopo una bella colazione (la terza nel mio caso) pronti ad un breve salto alla minuscola Santa Lucia, all’estremità del golfo della Caletta e ne risaliamo il breve ma intenso muro (18%).

E poi… Capo Comino e le sue dune, la spiaggia di Berchida e l’Oasi Naturale protetta di Bidderosa, Cala Ginepro e Cala Liberotto, la mente corre ai miei bimbi che gattonavano sulla spiaggia bianca, gli ottimi amici sardi conosciuti lì, Elisa che adesso vive in Inghilterra, Giorgia che lavora in Germania… la Sardegna è anche questo: la necessità di fuggirle per crearsi un futuro. Io sono un privilegiato, un turista che la vive come un Luna Park. Altra cosa è viverci.

Nuovo, interminabile bagno e rimontiamo in sella per l’ultimo breve trasferimento a Orosei, dove ci attende il primo pernottamento. Ma è solo mezzogiorno (!) e non rimane che andare a mangiare qualcosa, per poi vagabondare in zona – per una volta le bici sono leggere, essendo prive dei pochi bagagli che ci siamo portati dietro. Tocca alla spiaggia bonsai di Osalla, dove ancora sopravvivono piccole sorgenti di acqua dolce.

La sorpresa è enorme quando scorgo che a giugno – complice una primavera bizzarra – questa parte dell’Isola è colma di acqua! Rivoli, pozze, ruscelli dove di solito c’erano solo mucchi di sassi e.. verde, verde dappertutto (degli odori ho già detto).

Cena nella solita pizzeria di riferimento, e alle 9.30 (si, esatto) dormiamo già.

Seconda Tappa: le meraviglie del Supramonte km 92 dsl 1296 m

La seconda delle quattro tappe che abbiamo in mente è – sulla carta – la più dura. Si tratta infatti di iniziare a salire presso il distributore di Orosei, a meno di un km dal nostro B&B, per farlo in continuazione fino a raggiungere i 1017 metri del valico di Genna Silana. Come sempre in bicicletta, la pratica è altra cosa rispetto alla teoria: sarà la tappa più incredibile e facile delle quattro, al termine della quale ci pentiremo di aver prenotato un B&B così vicino. Avremmo voluto pedalare ancora per almeno altri 40 km.

Tutto questo perché all’infuori dell’attraversamento della cava di marmo poco fuori Orosei, il panorama ed un leggero venticello fresco ci allieteranno durante l’intero trasferimento.

Il primo punto di interesse è la elegante Dorgali, per il cui attraversamento ci sono due opzioni: circonvallazione a monte (sonora bastonata in mezzo ad auto e sotto il sole) o circonvallazione a valle (breve discesa e bastonata maggiore in mezzo ai camion, sotto il sole e senza bar di appoggio). Ovviamente, sapendo cosa mi aspetta passo alto, lambendo quella che fu una delle prime palestre di roccia sarda, S’atta Ruja; completamente in ombra fino al primo pomeriggio, immersa in un mare di pini, mentre le pedalo sotto ripasso mentalmente le mie “imprese”… il ricordo va subito ad Alessio, pisanissimo Presidente del CAI, che conobbi però proprio qui in Sardegna. Ironia della sorte!

Poco fuori Dorgali il traffico quasi cessa del tutto: siamo in prossimità del tunnel che porta a Cala Gonone, meta prediletta del turista tipico (e come dargli torto?). Le moto tedesche svoltano a sx ed io e Simone iniziamo a pedalare nel centro della SS125. Siamo praticamente soli, costantemente in salita, vero, ma chi se ne accorge? È iniziata, sulla destra, la Sinfonia del Supramonte, ed è un “tutto bordone” di luoghi.

Il Flumineddu, ruscello al cui cospetto la Lima è un fiume in piena, scorre placido nella vasta vallata alla nostra destra, fiancheggiato da lunghissime bastionate di calcare perfetto che lo dividono dalla Valle del Lanaitto, alla cui sommità si trova il villaggio nuragico di Tiscali. Ma è alla sommità della valle che il Flumineddu ha compiuto il suo capolavoro nel corso dei millenni, scavando inesorabilmente la valle di Gorroppu e trasformandola in quella che assieme al Verdon francese è probabilmente la risposta europea al Grand Canyon! Qui sulla SS125 ci godiamo lo spettacolo da un palco sopraelevato, e la distanza trae in inganno, ma le pareti strapiombanti che incombono su Gorroppu lasciano davvero senza fiato.

Impieghiamo circa due ore per percorrere i 19 km che ci portano al Passo di Genna Silana (controllo su Strava: Vincenzo Nibali ne ha impiegati 37 di minuti, ad una media di 28 km: beh, ma lui non penso si sia fermato a scattare foto come noi… deve essere questo il motivo!)

Al passo la foto è d’obbligo, così come la sosta e il giacchino paravento. Durante tutto il nostro viaggio lo indosseremo unicamente qui. Francamente non è superfluo: non siamo in Dolomiti ma è fresco quanto basta per averne bisogno.

Si riparte: Simone sorride soddisfatto, sa che da ora in poi è un’unica, interminabile, indescrivibile planata verso la spiaggia di Tortolì. E quindi iniziamo a sfrecciare, lui più di me, io ad ogni curva temo di imbattermi in qualche animale libero. Incrociamo ogni tipo di ciclisti: cicloamatori, coppie di atleti… ad ognuno va il mio saluto, sempre contraccambiato calorosamente, mentre faccio il conto alla rovescia verso un altro dei miei luoghi feticcio per antonomasia: la Valle di Serra Oseli.

Poco dopo Genna Silana inizia infatti un gigantesco altopiano sospeso in quota, al confine meridionale del quale si trova questa “valle magica”, indicata dal bivio stradale per la Codula di Luna che qui ha inizio.

Ed all’imbocco di Serra Oseli trovo chi vi avevo lasciato dieci anni prima, quando ci venni con Alessio per scalare su una falesia “leggendaria”. Ci sono capre, mucche, pecore che pascolano liberamente; il suono delle campanelle che portano al collo rimbalzano dappertutto, è un vero e proprio concerto. Non sono un fissato con la Natura, ma qui è davvero padrona indiscussa! Si tratta di animali “domestici” è evidente; noto gli stazzi e gli ovili in lontananza, ma qui tutti gli animali pascolano e volano in armoniosa tranquillità.

Mi sento in pace con il mondo intero. Aguzzo lo sguardo… ci sono anche dei cavalli! Magica Serra Oseli!

Sempre scendendo a mezza costa arriviamo ad una sorta di balcone naturale da cui si intravede la “solita” meraviglia: preannunciato da un agre profumo e da una brezza termica: Sua Maestà il Mare ci occhieggia invitante. Ma prima di arrivare ad Arbatax e Tortolì, sarà la volta dell’attraversamento di Baunei, una perla arroccata sulla sommità sinistra della valle. E se il nome non vi dice niente, vuol dire che sicuramente non avete mai posto una mano su una parete di roccia! Qui siamo nell’Eldorado del free climbing.

Dopo il bagno a Tortolì ed il breve pranzo, percorro solo duecento metri di strada e foro. Gli alberi lungo la strada perdono delle specie di spine ed una si conficca appieno nel copertone posteriore. Sostituita la camera d’aria abbiamo finalmente qualcosa da fare prima di raggiungere il prossimo B&B: voglio cercare immediatamente una nuova camera d’aria, senza correre il rischio di viaggiare con una sola di scorta. Chi pedala sa bene che spesso una foratura non viene mai da sola, meglio avere il doppio ricambio. Siamo fortunati perché ad Arbatax c’è un negozio specializzato; compro la camera, il CO2, gonfio con la pompa del negozio la ruota per portarla alla pressione ottimale e consegno al proprietario quella forata e la bomboletta vuota. Non volevo gettarle nel primo cestino o – orrore – abbandonarle lungo la strada. Lui mi ringrazia dicendomi che ha una ditta specializzata che effettua la raccolta differenziata. E mi chiede 50 centesimi aggiuntivi per lo smaltimento (!!)

Ceniamo a Tortolì, ancora colorata di rosa: il Giro è passato da poco e sono ancora presenti le scritte sul suolo; oltre a quelle dedicate all’eroe Michele Scarponi e al giovane Fabio Aru, spicca una dedicata a Tom Domoulin, sotto un’enorme freccia indicante l’Etna.

La serata la dedichiamo alla Ichnusa non filtrata, seduti accanto a dei tedeschi che mangiano pizza e cappuccino, come da copione. Stasera gioca l’Italia, ma non vediamo la fine del secondo tempo, ci siamo già addormentati.

Tappa 3: l’interno Km 101 dsl 568 m

La terza tappa prevede un lungo tratto all’interno dell’isola, in quanto in questa zona la costa è alta e scoscesa e gli accessi al mare sono davvero rari. E in cambiamenti appaiono subito evidenti: i fichi d’India che ci hanno accompagnati costantemente lungo tutto il tragitto, sono passati dal verde all’arancione! Qua stiamo entrando nella Sardegna meridionale, è evidente. La temperatura aumenta di 2-3 gradi, spesso segna 30°C, ma un leggero venticello ci aiuta nella progressione.

Attraversiamo luoghi meno noti al turismo di massa, tutti con una caratteristica ben precisa: il manto stradale che in questa parte dell’Isola è rosato! Dopo diverse ora alla guida mi sono accorto di una cosa ben precisa: quando l’asfalto è grigio, in genere è più rotto ed in condizioni peggiori, quando invece assume quel colore rosato (forse ci mescolano polvere del tipico granito sardo?) è invece un vero biliardo! È una vera e propria garanzia: le ruote rotolano libere e la tenuta in curva è spettacolare.

Dopo un paio di gallerie lungo una specie di superstrada (ma non vietata al traffico ciclistico, in quanto unica via di comunicazione) arriva finalmente un bivio noto, quello per Jerzu, altro luogo sacro dell’arrampicata mondiale. A veder bene lo si intuisce dalle strutture rocciose che fanno capolino alla sommità della valle, alcuni pilastri che in questa zona vengono chiamati tacchi. Jerzu stesso è un paesino fantastico ma non lo attraverseremo, così come Ulassai. Luoghi però fantastici che meritano una visita turistica in quanto entrambi assai singolari.

La tappa odierna prevede invece una breve sosta a Villaputzu (anche qua, scorribande giovanili in Vespa con cari amici verso la fine degli anni ’80) e poi il pernottamento in zona Muravera. Nomi sconosciuti…vero? Eppure sono zone che chi ha un “passato militare” conosce bene. La zona ospita basi militari e l’infausto poligono di tiro di Perdasdefogu e di Quirra, dove secondo molte fonti ancora abbonda l’uranio impoverito (sic!). Se vi state chiedendo se io ci abbia mai messo piede, magari nell’89 a rovistare in mezzo alle carcasse di veicoli militari, sapete già la risposta…

Ma stavolta è Simone ad avere il serbo l’asso nella manica… dopo tanti B&B stavolta ha prenotato presso un Agriturismo (esatto, con la A maiuscola), il Centro Ippico Agrituristico del Sarrabus. “Impossibile lasciare la Sardegna senza mangiare il porcettu!” mi dice. Io so già che declinerò l’offerta, ma Simone riceve di prima mattina un messaggio su WhatsApp da una delle proprietarie, interessate a sapere cosa indentiamo mangiare per cena (!!). Roberta continua poi spiegandoci che il loro Centro si trova in aperta campagna, di fare quindi attenzione perché il navigatore ci porterà verso strade sterrate… fin dall’inizio il Centro Ippico Agrituristico del Sarrabus ci rimane simpatico, ma è solo la punta dell’iceberg! Quando percorriamo gli ultimi 100m di strada bianca in mezzo ad un aranceto (esatto, qui le arance durano sino a tarda estate ci dice Roberta, il clima è stabile e il caldo mite) ci rendiamo conto di avere fatto bingo! A destra e sinistra ci sono i corral, percepiamo distintamente l’odore dei cavalli ma non ne scorgiamo alcuno, poi è la volta delle capre, delle pecore, e di Manolo e Chantal (vedi foto, trovati neonati nella macchia) che “oramai fanno parte della famiglia” ci dice Roberta.

Alla tradizionale parte vecchia dell’Agriturismo dove ancora vive la madre, Roberta e Silvia (istruttrice neo-mamma da poco e quindi in anno sabbatico dai cavalli) ed i loro compagni hanno affiancato una meravigliosa struttura semi-circolare dove servono i pasti agli ospiti. È stata costruita di recente, ma segue tutti i canoni sardi: le pietre sono quelle del luogo, alternate al legno delle querce e degli olivi, al muro sono appesi gioghi e altri strumenti contadini. Anna, la primogenita, corre scalza sul prato verdissimo che circonda la struttura, mentre sul retro una alta colonna di fumo rivela che la cena di Simone (e di altri 60 ospiti) sta rosolando già da stamani.

La cena sarà ovviamente celestiale, anche per chi come me non mangia porcetto, e non mancheranno i pilastri dell’alimentazione sarda fra cui mi piace ricordare soprattutto la fregola.

Alla tradizionale parte vecchia dell’Agriturismo dove ancora vive la madre, Roberta e Silvia (istruttrice neo-mamma da poco e quindi in anno sabbatico dai cavalli) ed i loro compagni hanno affiancato una meravigliosa struttura semi-circolare dove servono i pasti agli ospiti. È stata costruita di recente, ma segue tutti i canoni sardi: le pietre sono quelle del luogo, alternate al legno delle querce e degli olivi, al muro sono appesi gioghi e altri strumenti contadini. Anna, la primogenita, corre scalza sul prato verdissimo che circonda la struttura, mentre sul retro una alta colonna di fumo rivela che la cena di Simone (e di altri 60 ospiti) sta rosolando già da stamani.

La cena sarà ovviamente celestiale, anche per chi come me non mangia porcetto, e non mancheranno i pilastri dell’alimentazione sarda fra cui mi piace ricordare soprattutto la fregola.

Silvia pazientemente spiega ogni portata, si intrattiene ben volentieri con tutti i presenti, risponde alle nostre domande più bizzarre. Non lo fa per fiuto affaristico: le viene naturale. Lei, la madre, la sorella minore, tutte le altre persone che ci circondano sono realmente così.

Alla fine lascio Simone ad alternarsi fra filu’e’ferru, arancino, mirto, ecc ecc tutti di produzione del Centro e stavolta sono io il primo a collassate. Torno nella mini casetta che ci ospita e non sento neppure il rumore delle auto delle persone che dopo cena ripartono per altre destinazioni.

Tappa 4: verso l’Ignoto (Km 102, dsl 941 metri)

Siamo finalmente giunti alla parte di Sardegna che ancora non ho visitato, e fremo dalla voglia di scoprire come sarà! La tappa si presenta tranquilla, ma in realtà sarà la più faticosa delle quattro, a causa di un continuo mangia-e-bevi (a vedere bene quasi un’ottantina di km) ma anche per via della temperatura, che si attesta da prima mattina sui 30°C spingendosi fino a 34 nelle zone riparate dal vento. Spira un delicato Scirocco (che da queste parti contrasta prepotentemente anche Re Maestrale, arrivando prepotente ed impetuoso dall’Africa) che ci accompagnerà per tutto il tragitto. Spesso sarà di tre quarti rispetto alla strada, rendendo pericolose le discese. Ad ogni raffica, la borsa che porto legata sotto la sella funge da timone e devo fare particolare attenzione a non sbandare.

Ma prima delle discese… ci sono le salite. Lo so, è ovvio, ma non tutte le salite sono uguali, neppure a parità di dislivello. Talvolta infatti il vento lo abbiamo di fronte ed in salita, e le cose si complicano. La solita borraccia maxi ricca di sali che bevo regolarmente, non mi basta più nemmeno duplicata. So bene che bere, in sella, è più importante ancor più che mangiare e che la fatica diviene esponenziale se non si è idratati correttamente. Quindi ci fermiamo in un paio di bar, facciamo il pieno di acqua e coca cola (io) ma le labbra iniziano a screpolarsi, mentre la crema solare a protezione 50 diviene necessaria, onde evitare scottature.

Ci consoliamo dapprima con Capo Ferrato e Costa Rei, quindi con la Regina di questa parte della Sardegna, Villasimius. Cittadina “in”, sede tradizionale di una tappa del circuito italiano di windsurf (chissà mai perché) ospita un “turismo ricco” fatto di persone con panama bianco, signore in pareo e giovani indecorosamente tatuati in ogni dove. Ripenso a quando ci tatuavamo noi e ci prendevano per avanzi di galera: adesso tatuarsi significa essere influencers o anche trend setters. Corsi e ricorsi storici.

Usciamo da Villasimius a pancia semi-piena. Io come sempre mi alimento in continuazione, mentre Simone preferisce non farlo. Sarà un errore che “pagherà” con un aggravio di sudorazione e stanchezza visibile. Non siamo solo all’ultima delle 4 tappe, ma ne stiamo decisamente percorrendo la più dura.

Quando l’acqua termina anche nella mia borraccia e sarebbe impossibile masticare una barretta gommosa, decido di averne abbastanza e inizio a dare la caccia ad un posto dove mangiare. Ma questa parte di costa è ricca unicamente di accessi al mare: una salita, un promontorio, una discesa, una meravigliosa spiaggetta e di nuovo una salita… passa quasi un’ora buona di sali e scendi prima che dopo una curva si materializzi un camping! Mi fiondo dentro il bar e mangiamo subito due belle paste fumanti precotte, mentre alla TV Valentino corre nel Mugello. Quando Marquez esce di pista il camping esulta.

Comunque, in effetti, anche questa zona dell’Isola è veramente superlativa! La strada corre lungo il mare e l’occhio spazia a 360 gradi. Le pozze di acqua e i torrentelli della prima parte sono un ricordo lontano, qui siamo ad altra latitudine e il sole ed il salmastro dominano indiscussi.

Quando vediamo i cartelli di Terra Mala (!), Flumini e Quartu Sant’Elena, capiamo di essere agli sgoccioli della nostra cavalcata e ci dispiace non poco. Cagliari si palesa pian piano, facendosi precedere da un lungomare interminabile dove scoprirò che i Girini vi hanno fatto la volata finale.

Davanti all’imbarco sorgono costruzioni che non so perché mi ricordano quelle di La Spezia (forse costruite entrambi nel Ventennio?) rimango non poco sorpreso nello scoprire che qui ci sono i filobus come a Milano e Torino…

Vorremmo visitare la città in attesa dell’imbarco ma sarebbero necessarie ulteriori salite (no, grazie) quindi optiamo per un gelatone all’ombra dei portici. Mentre aspetto il mio turno scorgo apparire una mia alunna che mi aspetta in classe due giorni dopo (!!!). La sorpresa è non da poco e sembra quasi che “Il mio mondo quotidiano” mi abbia fatto l’occhiolino.

Aspettiamo di imbarcarci assieme ad una comitiva di 60 diversamente abili che si sta recando a Montecatini ad una specie di Olimpiade. Cori da stadio, canzoni, gioia da vendere… sono meravigliosi!

Io e Simone ci guardiamo: la SS292 Occidentale Sarda sarà più lunga: il prossimo giugno avremo bisogno di più ferie!!

Note  ciclistiche per concludere

Prima di tutto il bagaglio: Simone ha viaggiato con uno zaino (sbagliato!) che significa peso aggiuntivo su soprassella e schiena. Meglio una borsa apposita da legare sotto alla sella, oppure in alternativa al manubrio. Ringrazio il mio ottimo amico Riccardo per avermela prestata! Conviene portarsi dietro il minimo indispensabile di tutto, meglio comprare qualcosa alla bisogna. Io alla fine avevo +5 kg, mentre Simone +6,5 (secondo me erano anche 8 ma lui smentisce) che si sentono, eccome!

Ruote: conviene averne in alluminio ed a profilo basso per non avere problemi per trovare le camere d’aria sostitutive. L’alluminio inoltre pur pesando di più dà meno problemi di rotture impreviste.

Approvvigionamento: avevamo barrette e gel da vendere. Sbagliato! Conviene averne al massimo un paio e fermarsi il più spesso possibile anche per dare un po’ di tregua a collo e schiena. Impossibile non avere sali (esistono effervescenti in pastiglie) e maltodestrine da bere in continuazione.

Vestiario minimo, tanto non c’è altro da fare che pedalare e fare il bagno… ed ogni serata fare il bucato di tutto.

Non fate l’errore di fissare prima il luogo dove alloggerete: conviene contattarlo mentre siete per strada, a seconda di come vi sentite. Ovviamente il Centro Ippico Agrituristico del Sarrabus fa eccezione! Non può mancare nel vostro giro, per nessun motivo!!

Portarsi un Power Bank potente: lavorando sotto il sole il Garmin si esaurisce presto e si corre il rischio che si spenga.

Arrivederci alla prossima avventura 😀

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