S. Anna di Stazzema: Omaggio dalla PSG
Last Updated on 13-08-2018 by psg_admin
Qualche settimana fa, un nostro atleta ciclista, Antonio Cecchi mi fece una proposta: “Che ne pensi se domenica 12 agosto, giornata della memoria dell’eccidio di S. Anna di Stazzema, organizziamo qualcosa con la squadra?”. Anto che vuoi che ne pensi, mi pare un’ottima idea!
Avverto in Società e l’iniziativa piace molto, per cui rimedio un gagliardetto PSG e inizio ad organizzare.
Giro tranquillo, niente di che, in pratica c’è solo da salire a S. Anna ed il gioco è fatto. Momenti per gareggiare tra amici ci saranno, oggi tutti insieme andiamo a fare una cosa importante.
A causa del ponte di Pontasserchio chiuso ci troviamo un po’ a Rigoli e ci ricongiungiamo con gli altri a Filettole. Quando arrivo non posso che essere contento, siamo tanti! Divisa ufficiale PSG per tutti (o quasi) e si parte direzione Monte Pitoro. Saliamo, scendiamo Montemagno e ci fermiamo a prendere un caffè a Camaiore. Che dire, siamo davvero tanti ed invadiamo il bar.
L’orario è perfetto, sono appena le 9 e ci aspetta solo la salita a S. Anna dove intorno alle 10:30 partirà, dopo la messa, il corteo verso il sacrario. La salita è sempre quella, la conosciamo tutti, ma oggi ha un sapore diverso, è carica di emozione, non credo solo per me.
Arriviamo in cima e ci ricongiungiamo con il gruppo. La messa sta per finire e cerchiamo di rintracciare l’amico di Antonio che conosce il presidente dell’ANPI. Aspettiamo un po’ ed invece del presidente conosciamo un’altra persona, non meno importante, visto che insieme a lui ha condiviso quel giorno maledetto: Mario Marsili. A lui consegnamo il gagliardetto della Società. La consegna è molto emozionante, sopratutto perché ci racconta velocemente un po’ la sua storia. Incredibile pensare a cosa abbia passato. Di seguito un articolo pubblicato su La Repubblica qualche anno fa di Laura Montanari.
PIETRASANTA – Le rughe della sua faccia, dietro il banco del negozio di giornali, nella piazza di Pietrasanta, dicono che è passato davvero tanto tempo da quel giorno in cui Mario Marsili era soltanto un bambino di sei anni. Svegliato all’ alba dagli scarponi e dalle voci dei soldati tedeschi. Un impaurito bambino in braccio alla mamma mentre i nazisti urlavano, mitra alla mano, a loro due e ai nonni che dormivano nella stessa stanza, di scendere in fretta, giù per la strada e di raggiungere gli altri del paese, ammassati nella stalla. Sant’ Anna di Stazzema è un paese arroccato sopra le montagne dell’ Alta Versilia, provincia di Lucca. Erano sfollati in molti nell’ estate del 1944, in quel borgo povero e isolato che proprio per questo pareva sicuro. «Quante volte ho ripensato a quella mattina, lei non può nemmeno immaginarlo – racconta oggi Marsili che ha 65 anni, sposato, due figli e un nipotino di sette – . Quante volte ho rivisto la mamma che mi prendeva in braccio sollevandomi dal letto, mi stringeva forte mentre scendevamo di corsa le scale, entravamo nella stalla e mi diceva: mettiti lì dietro». Dietro la porta, nascosto fra due lastre di roccia. Accovacciato in mezzo. Facendosi piccolo piccolo, per salvarsi. L’ unico fra i quindici finiti là dentro a poter raccontare qualcosa. Sant’ Anna di Stazzema, l’ alba tragica del 12 agosto 1944: in 560 (ma neppure sui numeri ci sono ancora certezze) vengono trucidati dalle squadre delle Ss tedesche. Una pagina terribile e ancora piena di ombre, un eccidio contro la popolazione civile: a morire sono soprattutto donne, vecchi e bambini. L’ uomo che sta dietro il banco dei giornali, fra gli scaffali della cartolibreria di Pietrasanta, oggi sarà al Quirinale per ricevere dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d’ oro alla memoria assegnata a sua madre, Genny Bibolotti Marsili, la donna che quella mattina del 12 agosto, scagliò il suo zoccolo contro un soldato tedesco che si stava avvicinando. «Aveva paura che scoprisse che io ero lì dietro la porta» racconta il figlio. In risposta a quello zoccolo lanciato e andato a segno, una mitragliata dritta al petto: Genny muore all’ istante. Mario, il figlio, è a pochi metri, ma sta zitto, come le aveva raccomandato lei. E’ ferito perché alla stalla hanno già appiccato il fuoco, ma si salverà da quel lunghissimo giorno di sangue. L’ ha raccontata mille volte Marsili quell’ alba, senza mai riuscire ad essere padrone della voce che all’ improvviso si abbassa e trema: «Ero terrorizzato. Nella stalla i tedeschi avevano buttato sul fondo la gente, c’ erano anche due bambini più piccoli di me. Poi col lanciafiamme avevano appiccato il fuoco alla paglia. Tutti gridavano disperati, si agitavano cercavano inutilmente un riparo». Il fotogramma di quegli istanti è nitido, inciso nei ricordi: «E’ successo tutto in fretta: il soldato tedesco si stava avvicinando, rivedo mia madre che si toglie lo zoccolo, allora era estate e in montagna portavamo gli zoccoli, lo lancia contro di lui, lo colpisce». Una pausa, si ferma. Riprende: «Per tanto ho creduto di risentire la raffica della mitraglietta, la mamma che cade a terra, soffocata dal sangue, i tedeschi che si allontanavano con quelle voci secche, altri colpi di mitraglia». Mario resta ustionato al petto e a un braccio, guai che si porterà appresso per il resto dei giorni. «Ho passato un anno e mezzo in cura negli ospedali: ho addosso i segni delle ustioni, non vanno via, come non se n’ è mai andato via quel senso di mancanza, quella sottrazione improvvisa dell’ affetto di mia madre. Ero solo, mio padre era prigioniero in Russia, non avevo fratelli. Così sono andato ad abitare da una sorella di mia madre, la zia Lola che è ancora in vita. Quando è tornato mio padre, dopo un po’ di anni si è risposato e io ho capito che bisognava in qualche modo andare avanti». Però negli anni è rimasto qualcosa in sospeso, un desiderio più volte espresso: «Volevo che sul gesto eroico di mia madre che si è fatta uccidere per salvarmi la vita – prosegue oggi Mario Marsili – ci fosse almeno una medaglia, un riconoscimento». Arriva, quasi sessant’ anni dopo, ma arriva. «Va bene lo stesso. Avrei un altro desiderio, non vedere più guerre, né bambini straziati dalle bombe. Invece accendo la televisione e mi sembra di sentire ancora le grida della stalla a Stazzema».
Qualche foto di rito e poi rientriamo.
Guardare quelle persone negli occhi non è mai facile, si leggono delle emozioni forti insieme ad una tristezza assoluta che ti lascia senza parole e ti fa salire in poco tempo un groppo alla gola e ti fa venire la pelle d’oca, anche a persone che di solito non si lasciano andare alle emozioni come me.
Abbiamo deciso di rendere questa pedalata un appuntamento fisso per la PSG. Crediamo in quei valori e crediamo nel rispetto e nel sociale da sempre. Quale miglior occasione per dimostrare la nostra vicinanza se non questa.
Grazie a tutti quelli che sono venuti e che hanno pedalato con noi ieri mattina.